Giornalismo e documentarismo, a cui si può aggiungere il fotogiornalismo, sono, e potrebbero esserlo ancora di più, due elementi importanti per diffondere la cultura del mare e una conoscenza di base di questo ambiente. Nel suo insieme, esso appare ancora troppo estraneo alla vita quotidiana dove fa capolino soprattutto nei periodi estivi o in caso di fenomeni naturali con esiti catastrofici come uno tsunami, avvistamenti di grandi cetacei o squali oppure di massive presenze di specie insolite (p.e. le noci di mare al centro della cronaca nel 2019) o di meduse. Altri motivi per stimolare il giornalismo di mare sono stati, e di quando in quando torneranno ad essere, il cambiamento climatico e il conseguente riscaldamento delle acque, le specie aliene o la presenza di plastica in mari e oceani, problema quasi passato in secondo piano perché, va ricordato, nel mondo del giornalismo, soprattutto nell’area dei quotidiani, le notizie devono essere fresche come il pesce.
A parte questo dettaglio, la sfera di interesse o se si preferisce l’area di intervento o di interscambio tra giornalismo ed esperti di mare, come quelli appartenenti alle varie categorie rappresentate all’interno di AIOSS, è potenzialmente molto ampia. Come fugacemente ricordato poco sopra, e per rimanere nel settore stampa, la comunicazione attraverso la carta stampata passa dal quotidiano al settimanale al mensile e ciascuna di tali categorie ha caratteristiche ed esigenze proprie. I quotidiani, di solito, si rivolgono agli esperti solo in casi eccezionali che possono attirare l’interesse dei lettori (p.e. colorazione anomala delle acque, avvistamento di squali) e, in genere, lo fanno attraverso interviste puntiformi rivolte a biologi locali o agli autori della segnalazione con risultati non sempre soddisfacenti dal punto di vista della corretta comunicazione scientifica dimenticando che dall’altra parte del foglio c’è un lettore ormai in grado di controllare, se vuole, la validità delle informazioni trasmesse dal giornalista. Ovviamente la situazione cambia in meglio quando si tratta di pagine del quotidiano espressamente dedicate alla scienza. Nel caso dei periodici settimanali (possiamo ricordare p.e. i supplementi di divulgazione scientifica di quotidiani come La Stampa o la Repubblica) e ancora di più dei mensili (p.e. National Geographic), lo spazio dedicato ad un’informazione più precisa e puntuale, spesso scritta direttamente da scienziati o giornalisti scientificamente preparati, è molto maggiore in parte grazie ad una maggiore possibilità di programmazione, meno legato ad eventi di cronaca, e di organizzazione degli articoli e questo senza entrare nel novero delle riviste di alta divulgazione scientifica come Le Scienze che può contare su un bacino di collaboratori più che rodato e autorevole.
Se la disponibilità di esperti può essere ampia non altrettanto si può dire della domanda e le statistiche non aiutano. Lo dicono i numeri: soltanto l’1,7 per cento dei titoli delle principali testate, sia della carta stampata che della televisione, sono dedicati all’argomento dell’ambiente e considerata la vastità di questo argomento si può tranquillamente affermare che il mare, per quanto attiri, occupa una parte minima. Oggi inoltre mancano, o sono quasi estinte salvo rare eccezioni, le riviste divulgative di natura e ambiente e di subacquea che hanno arricchito il panorama editoriale italiano dagli anni 70 del Novecento al primo decennio del XXI secolo e che sono state per molti biologi marini una grande opportunità per divulgare le loro conoscenze. Il posto della carta stampata attualmente è stato preso dai siti web la cui validità e competenza scientifica è molto variegata e che possono essere gestiti sia da privati che da associazioni o istituti di ricerca che spesso mettono a disposizione degli utenti dati e informazioni sulle loro ricerche e i risultati ottenuti anche in forma divulgativa.
Lo sviluppo di tecnologie sempre più avanzate, a costi sempre più accessibili, ha dato un notevole incremento ad attività quali il fotogiornalismo (molta della comunicazione divulgativa, più di quella scientifica si fonda sulle immagini) e il documentarismo. Il primo, grazie al digitale, ha conosciuto uno sviluppo inimmaginabile sino ad un decennio fa e la fotografia subacquea è diventata una tecnica imprescindibile o quasi per chi si occupa di biologia marina anche se non sono molto diffusi corsi specifici di fotografia all’interno dei programmi di studio che insegnino a raccontare per immagini. Quanto al documentarismo (si veda ad esempio il filmato “Giannutri Soft Bottoms: from exploration to conservation”) è questo un settore dove sarebbe auspicabile una maggiore collaborazione tra biologi marini e video operatori, due professionalità che raramente coincidono e che si trovano a collaborare secondo progetti concordati e con la possibilità di essere finanziati, anche nel nostro paese, da sponsor privati e reti televisive ai quali spetterebbe il compito di provvedere alla loro diffusione e valorizzazione. È abbastanza incomprensibile, infatti, che la quasi totalità dei filmati di mare offerti dai palinsesti televisivi siano di provenienza estera e quasi sempre dedicati a mari lontani dal Mediterraneo nonostante la presenza nel nostro paese di scienziati e video operatori di comprovata esperienza.
Fotografo subacqueo professionista durante la realizzazione di un reportage
Ma dedicarsi al giornalismo o se si preferisce alla comunicazione per il grande pubblico da parte dei biologi marini è una necessità o un’attività casuale? La risposta, considerato l’analfabetismo scientifico che circonda, questo caso specifico, le scienze del mare (squali chiamati mammiferi e simili piacevolezze) è quasi scontata: è una necessità e anzi un dovere come del resto implicitamente riconosciuto anche dalla SIBM (Società Italiana di Biologia Marina) che al suo interno ha un comitato dedicato a Disseminazione e Divulgazione). Ci si può anche chiedere se scegliere di dedicarsi al giornalismo scientifico e raccontare le scienze del mare attraverso la parola, soprattutto se scritta, sia davvero un’attività così lontana dai progetti che in genere si fanno quando si inizia a studiare biologia marina o un’altra disciplina legata al mondo delle acque? In realtà, a rifletterci bene, così non è poiché esiste uno stretto legame tra i metodi del giornalismo e quelli della ricerca. Come un ricercatore, infatti, chi si dedica al giornalismo deve porsi una serie di domande per conoscere bene la situazione e descriverla. Tali domande sono le famose cinque W attorno alle quali ruota il mondo della stampa, indipendentemente dal mezzo usato (carta, web, trasmissioni radio o televisive), e cioè: What – Che cosa, Who – Chi, Where – Dove, When – Quando, Why – Perché.
Va poi riconosciuto che, al contrario di un tempo, l’attività di divulgatore o comunicatore scientifico sta avendo un suo riconoscimento in ambito didattico. A titolo di esempio tra i molti possibili vorrei citare quanto riportato sul sito dell’Università di Bologna, nelle pagine dedicate alla Laurea Magistrale in Biologia Marina dove si può leggere che, in un contesto di lavoro, il Biologo Marino può svolgere anche il ruolo di divulgatore scientifico e didattico, operare nel settore della divulgazione scientifica, naturalistica e ambientale e trovare sbocchi occupazionali come professionista della divulgazione scientifica, promozione e didattica naturalistico- turistica anche subacquea. Sono sicuramente possibilità di occupazione o comunque di ampliamento delle stesse in un settore che, secondo i dati riportati sul sito dell’Università di Groningen, in Olanda, vede circa un terzo dei laureati impegnati nel settore pubblico, ad esempio in giornalismo, insegnamento o comunicazione. Alcuni atenei hanno sviluppato percorsi formativi o moduli come nel caso dell’Università Politecnica delle Marche che prevede attività ad hoc di divulgazione scientifica, fotografia e video scientifici subacquei, comunicazione scientifica, fotografia e video scientifici, scrittura divulgativa, preparazione alle conferenze ed alle attività di divulgazione ambientale.
Sono opportunità che vale la pena di sfruttare e in questo l’AIOSS può avere e svolgere un compito importante data anche la sua funzione organizzatrice e di indirizzo al fine di promuovere un rapporto più stretto tra società civile e ambiente marino. Tale finalità si esplicita anche attraverso la formazione di comunicatori esperti capaci di trasferire le competenze scientifiche acquisite ad un numero più grande di persone interessate, quindi di portatori di interesse che non sono i classici stakeholder di tutti i progetti, ma che possono diventare altrettanto influenti. Creare un pubblico informato, capace di valorizzare le nostre ricerche marine, non è uno spreco di tempo bensì significa mettere le basi per far sì che ambiente e ricerca contino di più e non siano considerati “un di più”.
Fotografo subacqueo professionista durante la realizzazione di un reportage
Esempio di articolo di inchiesta sulla stampa quotidiana realizzato da un giornalista subacqueo
Articolo tratto da:
Mojetta A. (2020) Il giornalista e il documentarista subacqueo. Identikit professionali degli Operatori Scientifici Subacquei. La collana del faro, Il Pianeta Azzurro, 2/2020: 14-17.
L'autore:
Angelo Mojetta
Biologo marino, subacqueo e giornalista, segue la sezione subacquea de La Rivista della NATURA. Dopo varie esperienze come ricercatore, ha iniziato a collaborare con riviste e periodici naturalistici e subacquei (La Rivista della NATURA, AQVA, Oasis, Sub, Airone, National Geographic) e reti televisive. Autore di oltre 300 articoli e una cinquantina di libri, spesso tradotti, dedicati al mondo delle acque, ha vinto nel 1997 il premio per la migliore guida al mondo sottomarino al Festival Mondiale dell'Immagine Sottomarina di Antibes. Nel 2012 per la sua intensa attività in favore dell'ambiente marino ha ottenuto il prestigioso Tridente d'Oro dell'Accademia Internazionale di Scienze e Tecniche Subacquee.